In questo ampio saggio, pur partendo dal presupposto che la tradizionale distinzione tra “negozio”, “processo” e “autotutela”, alla cui sfera rispettivamente ricondurre questo o quell’altro istituto, è ermeneuticamente utile anche in rapporto all’esperienza romana, nondimeno l’autore spiega che nell’età più risalente non dovette esistere nulla di tutto questo. Alle origini - siamo, naturalmente, in un’epoca che non esiteremmo a definire pre-giuridica - esistevano solo atti di aggressione (adprehensiones) di cose o persone: gesta ancestrali compiuti con la mano. Essi tuttavia, allo scopo di assicurare un minimo di ordine giuridico, vennero ben presto sottoposti a ius, che all’inizio significa esclusivamente rito: vengono cioè sottoposti ad un processo di tipizzazione rituale, nel quale le solennità orali o certa verba acquisiscono una certa preminenza su quei gesta rudimentali, che pur in forma stilizzata rimangono, ed il controllo è garantito dalla presenza di testimoni, perché il ritus (inteso come mos comprobatus, secondo la ben nota definizione di cui a Fest. 364 L) tende per sua natura alla pubblicità. Pertanto i casi sono, in linea di massima, due: 1) Il comportamento apprensivo può attuarsi in maniera pacifica, per le ragioni più varie: ed allora produrrà presto i suoi effetti. Ma non si tratta di autotutela tollerata o di “atto negoziale” o di atto rilevante dal diritto “sostanziale”: si tratta solo di un atto aggressivo compiuto in forma rituale; 2) Quello stesso comportamento può essere invece contestato, perché ritenuto privo di ragione: ma anche qui il rimedio applicato - che si sostituisce all’originario scontro fisico tra i contendenti - è di tipo rituale. Certo, si tratterà di solennità più complesse, caratterizzate da un maggior grado di pubblicità e controllo (poi magari assicurato dal rex o dal magistrato), destinate a svolgersi per lo più (ma non sempre!) in forma dialogica, e non monologica; ma le actiones esperite (poi dette legis actiones) non sono “processi”, monofasici o bifasici, o “giudizi”: sono solo “riti” qualitativamente non differenti dalle actiones di cui si è detto prima (il termine actio non ha in epoca risalente una valenza processuale). Nel corso del suo lavoro Franchini ha modo di rendere conto delle sue affermazioni, adducendo esempi vari: tra i presunti “negozi” (o altri istituti di diritto “sostanziale”), la mancipatio, la conventio in manum, l’usus - usucapio, l’acquisto dell’eredità, i delitti e la in iure cessio; tra i presunti “processi”, le cosiddette legis actiones “dichiarative” e le cosiddette legis actiones “esecutive”.

Alle origini di negozio e processo: l'autotutela rituale

FRANCHINI L
2012-01-01

Abstract

In questo ampio saggio, pur partendo dal presupposto che la tradizionale distinzione tra “negozio”, “processo” e “autotutela”, alla cui sfera rispettivamente ricondurre questo o quell’altro istituto, è ermeneuticamente utile anche in rapporto all’esperienza romana, nondimeno l’autore spiega che nell’età più risalente non dovette esistere nulla di tutto questo. Alle origini - siamo, naturalmente, in un’epoca che non esiteremmo a definire pre-giuridica - esistevano solo atti di aggressione (adprehensiones) di cose o persone: gesta ancestrali compiuti con la mano. Essi tuttavia, allo scopo di assicurare un minimo di ordine giuridico, vennero ben presto sottoposti a ius, che all’inizio significa esclusivamente rito: vengono cioè sottoposti ad un processo di tipizzazione rituale, nel quale le solennità orali o certa verba acquisiscono una certa preminenza su quei gesta rudimentali, che pur in forma stilizzata rimangono, ed il controllo è garantito dalla presenza di testimoni, perché il ritus (inteso come mos comprobatus, secondo la ben nota definizione di cui a Fest. 364 L) tende per sua natura alla pubblicità. Pertanto i casi sono, in linea di massima, due: 1) Il comportamento apprensivo può attuarsi in maniera pacifica, per le ragioni più varie: ed allora produrrà presto i suoi effetti. Ma non si tratta di autotutela tollerata o di “atto negoziale” o di atto rilevante dal diritto “sostanziale”: si tratta solo di un atto aggressivo compiuto in forma rituale; 2) Quello stesso comportamento può essere invece contestato, perché ritenuto privo di ragione: ma anche qui il rimedio applicato - che si sostituisce all’originario scontro fisico tra i contendenti - è di tipo rituale. Certo, si tratterà di solennità più complesse, caratterizzate da un maggior grado di pubblicità e controllo (poi magari assicurato dal rex o dal magistrato), destinate a svolgersi per lo più (ma non sempre!) in forma dialogica, e non monologica; ma le actiones esperite (poi dette legis actiones) non sono “processi”, monofasici o bifasici, o “giudizi”: sono solo “riti” qualitativamente non differenti dalle actiones di cui si è detto prima (il termine actio non ha in epoca risalente una valenza processuale). Nel corso del suo lavoro Franchini ha modo di rendere conto delle sue affermazioni, adducendo esempi vari: tra i presunti “negozi” (o altri istituti di diritto “sostanziale”), la mancipatio, la conventio in manum, l’usus - usucapio, l’acquisto dell’eredità, i delitti e la in iure cessio; tra i presunti “processi”, le cosiddette legis actiones “dichiarative” e le cosiddette legis actiones “esecutive”.
2012
978-88-13-33265-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14092/2506
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