Si tratta di un ampio studio monografico sul pontificato, inteso in generale, anche se il periodo preso direttamente in considerazione è quello di P. Licinio Crasso, terzo pontefice massimo plebeo, che occupò la carica fra il 212 ed il 183 a.C. E’ questa, come noto, un’epoca che riveste particolare importanza nell’ambito della storia giuridica di Roma; un’epoca caratterizzata da trasformazioni profonde, alla quale risale l’esperienza dei primi giuristi laici, su cui, a scapito dei pontefici, gli studiosi distolgono solitamente la loro attenzione. Lo studio in esame è l’esito di un’operazione esattamente opposta, che tenta di dar risposta al quesito: che ne era, nel frattempo, dei pontifices, della loro compagine (considerata nei suoi equilibri interni, oltre che in rapporto all’attività degli altri organi della res publica), della loro plurisecolare attività di interpretatio? A tali curiosità si è cercato di soddisfare, redigendo un’opera che, in ossequio al metodo annalistico proprio dell’antica tradizione pontificale, si attiene, nella trattazione degli argomenti, ad un criterio rigorosamente cronologico: ciò, sia all’interno dei primi due capitoli - in cui prevale l’indagine sulla prosopografia dei giuristi -, sia all’interno del terzo - in cui prevale lo studio delle quaestiones -. Le problematiche affrontate non afferiscono soltanto al diritto sacro, ma a tutte le altre branche del diritto romano, con le quali si riscontrino di volta in volta connessioni: solo a titolo di esempio, basti ricordare il diritto pubblico (ché già la procedura di consultazione del collegio, in sé considerata, implicava il coinvolgimento degli altri organi dello stato); il diritto privato (ne è un esempio la disciplina del votum, inteso come atto strutturalmente sottoposto a condizione); il diritto criminale (in merito alla punizione delle Vestali, dei rei di furto sacrilego, nonché all’esperimento della provocatio ad populum, che in certi casi si dava contro i provvedimenti del pontefice massimo); il diritto tributario (a proposito della presunta esenzione dei sacerdoti dal pagamento delle imposte); e molto altro, tra cui vale la pena di rammentare la vicenda dei Baccanali, ampiamente riconsiderata. Tra i “filoni” di studio che, in maniera più ricorrente di altri, formano oggetto di analisi ed approfondimento, nel corso dell’indagine, si possono annoverare: l’incidenza della legislazione sia sulla composizione e sul funzionamento del collegio (si pensi alla lex Ogulnia) sia sulla sua attività di interpretatio (si pensi alla lex Acilia in tema di intercalazione); i diversi meccanismi attraverso i quali, a seconda delle materie, si poteva consentire ai pontifices, incapaci di auto-convocarsi, di esprimere un parere su un certo argomento (parere formalizzato in un decreto, ove la consultazione fosse collegiale, o in un mero responso, ove fosse invece rivolta al singolo pontefice incaricato annualmente di praesse privatis); l’inesistenza, in età arcaica, di un ius controversum, a meno che non lo si riferisca alla sola diacronia, o al limite, se anche alla sincronia, limitando quest’ultima ai dibattiti svoltisi all’interno del collegio (in cui poi comunque si decretava a maggioranza: testimonianza fondamentale, in proposito, è quella sul votum ex incerta pecunia del 200); l’osservanza rigorosa del formalismo, orale e gestuale, che, almeno in ambito sacrale, i pontefici paiono ancora esigere con il massimo scrupolo, di contro a certe tendenze di segno opposto, che proprio in quell’epoca stavano affiorando; l’apertura ai tempi nuovi, anche sul piano della politica del diritto, ciò che si è constatato tramite lo studio delle carriere politiche dei sacerdoti, i quali, infatti, erano tutti anche senatori e magistrati (da segnalare che il pontefice massimo Licinio Crasso rivestì nel 208 la carica di pretore peregrino), e tramite lo studio delle c.d. famiglie pontificali (tra le quali risulta sorprendentemente compresa anche quella degli Elii Peti). In conclusione, si può osservare come, se da una parte i pontifices, sul piano giuridico-formale, sembravano ancora impegnati nel pretendere il rigido rispetto del ritualismo, nel quale in fin dei conti consisteva la loro propria tradizione, dall’altra erano tuttavia inclini, sul piano della politica del diritto, a far condizionare le loro scelte dalle appartenenze politiche e di partito.

Aspetti giuridici del pontificato romano. L'età di Publio Licinio Crasso (212-183 a.C.)

FRANCHINI L
2008-01-01

Abstract

Si tratta di un ampio studio monografico sul pontificato, inteso in generale, anche se il periodo preso direttamente in considerazione è quello di P. Licinio Crasso, terzo pontefice massimo plebeo, che occupò la carica fra il 212 ed il 183 a.C. E’ questa, come noto, un’epoca che riveste particolare importanza nell’ambito della storia giuridica di Roma; un’epoca caratterizzata da trasformazioni profonde, alla quale risale l’esperienza dei primi giuristi laici, su cui, a scapito dei pontefici, gli studiosi distolgono solitamente la loro attenzione. Lo studio in esame è l’esito di un’operazione esattamente opposta, che tenta di dar risposta al quesito: che ne era, nel frattempo, dei pontifices, della loro compagine (considerata nei suoi equilibri interni, oltre che in rapporto all’attività degli altri organi della res publica), della loro plurisecolare attività di interpretatio? A tali curiosità si è cercato di soddisfare, redigendo un’opera che, in ossequio al metodo annalistico proprio dell’antica tradizione pontificale, si attiene, nella trattazione degli argomenti, ad un criterio rigorosamente cronologico: ciò, sia all’interno dei primi due capitoli - in cui prevale l’indagine sulla prosopografia dei giuristi -, sia all’interno del terzo - in cui prevale lo studio delle quaestiones -. Le problematiche affrontate non afferiscono soltanto al diritto sacro, ma a tutte le altre branche del diritto romano, con le quali si riscontrino di volta in volta connessioni: solo a titolo di esempio, basti ricordare il diritto pubblico (ché già la procedura di consultazione del collegio, in sé considerata, implicava il coinvolgimento degli altri organi dello stato); il diritto privato (ne è un esempio la disciplina del votum, inteso come atto strutturalmente sottoposto a condizione); il diritto criminale (in merito alla punizione delle Vestali, dei rei di furto sacrilego, nonché all’esperimento della provocatio ad populum, che in certi casi si dava contro i provvedimenti del pontefice massimo); il diritto tributario (a proposito della presunta esenzione dei sacerdoti dal pagamento delle imposte); e molto altro, tra cui vale la pena di rammentare la vicenda dei Baccanali, ampiamente riconsiderata. Tra i “filoni” di studio che, in maniera più ricorrente di altri, formano oggetto di analisi ed approfondimento, nel corso dell’indagine, si possono annoverare: l’incidenza della legislazione sia sulla composizione e sul funzionamento del collegio (si pensi alla lex Ogulnia) sia sulla sua attività di interpretatio (si pensi alla lex Acilia in tema di intercalazione); i diversi meccanismi attraverso i quali, a seconda delle materie, si poteva consentire ai pontifices, incapaci di auto-convocarsi, di esprimere un parere su un certo argomento (parere formalizzato in un decreto, ove la consultazione fosse collegiale, o in un mero responso, ove fosse invece rivolta al singolo pontefice incaricato annualmente di praesse privatis); l’inesistenza, in età arcaica, di un ius controversum, a meno che non lo si riferisca alla sola diacronia, o al limite, se anche alla sincronia, limitando quest’ultima ai dibattiti svoltisi all’interno del collegio (in cui poi comunque si decretava a maggioranza: testimonianza fondamentale, in proposito, è quella sul votum ex incerta pecunia del 200); l’osservanza rigorosa del formalismo, orale e gestuale, che, almeno in ambito sacrale, i pontefici paiono ancora esigere con il massimo scrupolo, di contro a certe tendenze di segno opposto, che proprio in quell’epoca stavano affiorando; l’apertura ai tempi nuovi, anche sul piano della politica del diritto, ciò che si è constatato tramite lo studio delle carriere politiche dei sacerdoti, i quali, infatti, erano tutti anche senatori e magistrati (da segnalare che il pontefice massimo Licinio Crasso rivestì nel 208 la carica di pretore peregrino), e tramite lo studio delle c.d. famiglie pontificali (tra le quali risulta sorprendentemente compresa anche quella degli Elii Peti). In conclusione, si può osservare come, se da una parte i pontifices, sul piano giuridico-formale, sembravano ancora impegnati nel pretendere il rigido rispetto del ritualismo, nel quale in fin dei conti consisteva la loro propria tradizione, dall’altra erano tuttavia inclini, sul piano della politica del diritto, a far condizionare le loro scelte dalle appartenenze politiche e di partito.
2008
978-88-6342-050-0
pontefice
giurisprudenza
religione
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Aspetti.pdf

non disponibili

Dimensione 1.76 MB
Formato Adobe PDF
1.76 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14092/2534
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
social impact