I iudicia bonae fidei per lungo tempo sembrarono appartenere soltanto al diritto onorario. In quest’opera l’autore aderisce all’orientamento - non incontroverso, ma prevalente in dottrina - che colloca la civilizzazione di quei giudizi non prima dell’inizio dell’età classica, per effetto di un’evoluzione di cui analizza modi e fattori. Gli elenchi delle azioni di buona fede contenuti nelle opere letterarie di epoca repubblicana paiono rivelarne la natura soltanto pretoria, data la riscontrabilità in essi di espressioni quali arbitria honoraria (Cic. Rosc. com. 5.15) o sine lege iudicia (Cic. off. 3.15.61), giudicate incom patibili con l’originaria inerenza alla tradizione civilistica. Tutto ciò, senza trascurare il dato che per certi altri istituti, quali i principali contratti reali, già protetti dal magistrato mediante la concessione di actiones in factum conceptae, la recezione, databile ad un periodo successivo, coincide senz’altro con la stessa proposizione edittale di actiones in ius di buona fede. L’autore formula alcune indispensabili precisazioni circa il metodo dell’indagine, che non prescinde dalla necessità di individuare con precisione la fonte, o le fonti, che abbiano determinato l’integrazione nel mondo del diritto di figure che prima, sostanzialmente, a quel mondo non appartenevano. La ricerca delle fonti possibili della recezione sarà svolta attenendosi al ben noto ordine gaiano di cui al passo 1.2 delle Institutiones, e con la sola aggiunta finale della consuetudine e della prassi, giudiziaria e non. L’analisi si fa appunto approfondita, grazie anche ad un’esegesi stringente di quei frammenti - non numerosi, in verità: v. soprattutto Ulp. D. 21.1.31.20 e 27.4.1pr. - che sembrano disporre direttamente in merito ai fatti normativi che abbiano prodotto la recezione. La risposta data in conclusione è che si tratta di una receptio moribus. Ma - spiega l’autore - «non sono mere prassi ‘spontanee’ quelle in cui si possano identificare i processi consuetudinari, ma qualcosa di assai più complesso, cui danno impulso, coagendo tra di loro, in rapporto di continua reciproca osmosi, un gran numero di fattori (…). Sono processi di cui possiamo anche ricapitolare le tappe: a monte, la diffusione di usi commerciali internazionali o di usi interni fondati su rapporti di reciproca forte solidarietà, entrambi momentaneamente privi di valore giuridico; l’intervento di organi giurisdizionali che dell’importanza di quelle pratiche prendono atto (…); l’avvio di un processo consuetudinario ‘ufficiale’, che consta di un flusso di attività negoziali e di decisioni giudiziali rese coerenti e sapientemente indirizzate, in modo univoco, da una scienza giuridica assai più sensibile alla risoluzione dei problemi pratici (…); l’incidenza della legislazione, che però integra direttamente, nell’ordinamento, soltanto gli effetti della macchina processuale dal cui funzionamento dipende, da sempre, la tutela di quelle pratiche; il definitivo consolidamento della disciplina ormai formatasi sulle stesse, donde il suo assorbimento nell’ordinamento sostanziale, certificato come tale, se non di fatto addirittura compiuto, dal magistrato giusdicente nell’esercizio delle sue competenze».
La recezione nel ‘ius civile' dei ‘iudicia bonae fidei'. Questioni di metodo e di merito
FRANCHINI L
2015-01-01
Abstract
I iudicia bonae fidei per lungo tempo sembrarono appartenere soltanto al diritto onorario. In quest’opera l’autore aderisce all’orientamento - non incontroverso, ma prevalente in dottrina - che colloca la civilizzazione di quei giudizi non prima dell’inizio dell’età classica, per effetto di un’evoluzione di cui analizza modi e fattori. Gli elenchi delle azioni di buona fede contenuti nelle opere letterarie di epoca repubblicana paiono rivelarne la natura soltanto pretoria, data la riscontrabilità in essi di espressioni quali arbitria honoraria (Cic. Rosc. com. 5.15) o sine lege iudicia (Cic. off. 3.15.61), giudicate incom patibili con l’originaria inerenza alla tradizione civilistica. Tutto ciò, senza trascurare il dato che per certi altri istituti, quali i principali contratti reali, già protetti dal magistrato mediante la concessione di actiones in factum conceptae, la recezione, databile ad un periodo successivo, coincide senz’altro con la stessa proposizione edittale di actiones in ius di buona fede. L’autore formula alcune indispensabili precisazioni circa il metodo dell’indagine, che non prescinde dalla necessità di individuare con precisione la fonte, o le fonti, che abbiano determinato l’integrazione nel mondo del diritto di figure che prima, sostanzialmente, a quel mondo non appartenevano. La ricerca delle fonti possibili della recezione sarà svolta attenendosi al ben noto ordine gaiano di cui al passo 1.2 delle Institutiones, e con la sola aggiunta finale della consuetudine e della prassi, giudiziaria e non. L’analisi si fa appunto approfondita, grazie anche ad un’esegesi stringente di quei frammenti - non numerosi, in verità: v. soprattutto Ulp. D. 21.1.31.20 e 27.4.1pr. - che sembrano disporre direttamente in merito ai fatti normativi che abbiano prodotto la recezione. La risposta data in conclusione è che si tratta di una receptio moribus. Ma - spiega l’autore - «non sono mere prassi ‘spontanee’ quelle in cui si possano identificare i processi consuetudinari, ma qualcosa di assai più complesso, cui danno impulso, coagendo tra di loro, in rapporto di continua reciproca osmosi, un gran numero di fattori (…). Sono processi di cui possiamo anche ricapitolare le tappe: a monte, la diffusione di usi commerciali internazionali o di usi interni fondati su rapporti di reciproca forte solidarietà, entrambi momentaneamente privi di valore giuridico; l’intervento di organi giurisdizionali che dell’importanza di quelle pratiche prendono atto (…); l’avvio di un processo consuetudinario ‘ufficiale’, che consta di un flusso di attività negoziali e di decisioni giudiziali rese coerenti e sapientemente indirizzate, in modo univoco, da una scienza giuridica assai più sensibile alla risoluzione dei problemi pratici (…); l’incidenza della legislazione, che però integra direttamente, nell’ordinamento, soltanto gli effetti della macchina processuale dal cui funzionamento dipende, da sempre, la tutela di quelle pratiche; il definitivo consolidamento della disciplina ormai formatasi sulle stesse, donde il suo assorbimento nell’ordinamento sostanziale, certificato come tale, se non di fatto addirittura compiuto, dal magistrato giusdicente nell’esercizio delle sue competenze».File | Dimensione | Formato | |
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